Parlare di internazionalizzazione delle imprese culturali in un momento di chiusura dei confini e di incertezza sulle libertà di movimento è un atto di coraggio. Cristina Da Milano lo fa e porta l’esempio di Culture Action Europe sul webinar di WebinArt del 15 maggio scorso.
“È un argomento che da tempo ritengo fondamentale, credo sia diventato ancora più fondamentale oggi”: Cristina Da Milano avvia così, con una netta dichiarazione, l’intervento “Internazionalizzazione delle imprese culturali. Il ruolo di Culture Action Europe”. Nel duplice ruolo di vicepresidente CAE e presidente di ECCOM, la sua è un’analisi puntuale dei vantaggi che le imprese culturali hanno quando si affacciano sul panorama europeo (ECCOM è membro di CAE dal 2014) e dell’impegno di Culture Action Europe nel sostenere istanze importanti per il nostro mondo. Mai come in questo periodo l’esigenza di europeizzare le imprese è messa in discussione: i limiti contingenti hanno congelato il concetto di mobilità, che è presupposto fondamentale per l’internazionalizzazione (oltre che pilastro delle politiche europee degli ultimi decenni), e sembra sempre più condivisa quella spinta a chiudersi – a livello individuale, collettivo e nazionale – che da qualche anno sta minando quanto costruito in decenni di Europa unita. A fronte di così tanti ostacoli, insistere sulla necessità di internazionalizzare le imprese culturali significa prima di tutto difendere il valore del fare rete. Le imprese che escono dal proprio contesto affrontano un confronto/scontro con realtà diverse, acquisiscono cornici di riferimento più ampie e aprono i propri orizzonti. Ma soprattutto, entrano in contatto con altri soggetti, con cui condividono obiettivi simili. È così che l’internazionalizzazione crea i presupposti per fare rete. E fare rete significa avere voce, che è importante sempre e vitale in questo momento di difficoltà per il settore della cultura. Da un’analisi Eurostat emerge che la crisi COVID-19 interessa circa 7,3 milioni di posti di lavoro culturali e creativi in tutta l’UE e di questi oltre il 30% sono lavoratori autonomi che mancano di un’adeguata protezione sociale. Il valore di una rete europea nel post-pandemia: l’impegno di CAE La missione di Culture Action Europe è “mettere la cultura al centro del dibattito pubblico e dei processi decisionali”, spiega Cristina Da Milano, con azioni di advocacy del diritto di accesso e di partecipazione alla cultura e di lobbying per gli investimenti pubblici in cultura. Negli ultimi anni CAE si è aperto anche alla ricerca sulle pratiche culturali e alla condivisione di conoscenze e competenze con tutti i soci, ha ideato forme di interazione e mediazione per facilitare la comunicazione a livello politico e ha favorito l’ascolto dal basso e la raccolta delle istanze dei singoli soci. Tutte azioni che oggi permettono a CAE di sostenere, nei palazzi dell’Unione Europea, un delicato processo di difesa del settore culturale. Cioè di quasi 8.5 milioni di lavoratori. È stato avviato un negoziato sul Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 per chiedere la ridefinizione del budget alla luce delle emergenze post Covid-19: aumento del 100% del fondo destinato al programma Europa Creativa e garanzia che tale fondo non venga ridimensionato per permettere l’incremento di budget di altri programmi. Due istanze che vanno ad aggiungersi alla battaglia che CAE porta avanti da tempo, affinché venga garantito che almeno l’1% dell’intero bilancio a lungo termine in tutti i settori politici e i programmi del QFP sia destinato alla cultura. L’impegno di CAE per vedere riconosciuto il ruolo della cultura nel tessuto economico, sociale e ambientale dell’Europa ha avuto come diretta conseguenza la petizione per ottenere che nei primi anni di programmazione il 7% del recovery fund previsto per sostenere l’intero settore produttivo europeo sia destinato al comparto culturale e creativo (qui il documento integrale “a recovery budget for the future of Europe needs sustainable and substantial financial support for culture”). CAE ha poi lanciato la campagna “Culture2030 Goal” legata al ruolo che la cultura (“tutta la cultura”, precisa Cristina Da Milano, “dalle istituzioni culturali, alle attività culturali, ai singoli soggetti”) svolge per il raggiungimento della sostenibilità, anche nel post-crisi epidemica: in concreto, una richiesta ai Governi di agire per sostenere le comunità, i settori, gli attori e gli operatori culturali che si trovano ad affrontare gli impatti negativi della pandemia; di rafforzare la protezione dei diritti culturali nelle legislazioni locali, in un’osmosi tra Europa e realtà nazionali che si traduca in programmi culturali mirati all’istruzione, alla partecipazione attiva, alla cittadinanza critica (qui il documento “Protecting artistic freedom as a European value” redatto da Yamam Al-Zubaidi nell’ambito del gruppo di lavoro “Cultura azione Europa” sulla libertà di espressione artistica); di incorporare esplicitamente la cultura nei piani, negli strumenti e nei meccanismi di rendicontazione relativi all’Agenda 2030 e agli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile (SDG). Con gli hashtag #culture2030goal e #CULTUREcovid19, il 21 maggio segna il lancio ufficiale della dichiarazione “Ensuring culture fulfills its potential in responding to the COVID-19 pandemic”, che CAE firma con altri sette network internazionali. Una buona occasione, per tutti, per affacciarsi sull’Europa. L’intervento integrale di Cristina Da Milano “Internazionalizzazione delle imprese culturali. Il ruolo di Culture Action Europe” è visibile a questo link |